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9.3.11

dedicato a Roger

Dedicato a Roger, perchè possa vivere in salute 100 anni e più.




Caro Roger, oggi ho riletto la bellezza di 33 pagine del libro “Anti-cancro” del dott. David Servan-Schreiber ( il medico francese che a 31 anni ha scoperto di avere un tumore al cervello, lo ha curato, ha avuto una ricaduta e poi lo ha curato in modo definitivo ). Il suo libro è composto da 280 pagine, ma queste 33 sono già un libro a sè e c'è scritto tutto quello che serve a te ( o meglio: a noi ). Per questo ho reputato importante trascrivere queste 33 pagine, fare le dovute postille e dedicartelo. Non so se mandartele tutte insieme ( quindi è sicuro che NON le leggeresti subito ), o un po' alla volta.

Secondo me sarebbe meglio che io te le mandassi subito, poi sarai tu a leggerne una pagina ogni sera, prima di andare a dormire, in modo tale da organizzarti per il giorno dopo una sana giornata anti-cancro.



Parto da pag. 112. Capitolo 7. La ricaduta.



Erano passati alcuni anni dalla mia prima operazione ( asportazione di un tumore al cervello grande come una noce n.d.A. ) e mi illudevo che fosse tornato tutto a posto ( mai illudersi che tutto sempre fili liscio!!! n.d.A. ). Un pomeriggio stavo bevendo un tè con una mia amica, una delle pochissime persone che sapessero della mia malatti, e mentre parlavamo del futuro lei mi disse, un po' titubante:”David, devo chiederti una cosa. Cosa fai per il tuo 'terreno'? (per 'terreno' si intende il proprio corpo, soprattutto il suo potenziamento attraverso un sistema immunitario perfetto n.d.A. )

sapeva benissimo che non condividevo affatto il suo entusiasmo per le medicine naturali e l'omeopatia. Per me, il concetto stesso di 'terreno', di cui non avevo mai sentito parlare mei miei studi accademici, esulava dall'ambito della scienza medica e quindi non mi interessava minimamente. ( quanti altri medici la pensano come lui? Penso oltre il 99% n.d. A. ). Le risposi che mi stavo curando benissimo e che non c'era altro da fare se non sperare che il tumore non si riformasse ( povero illuso!!! n.d. A. ).

E cambiai argomento.

Ricordo bene cosa mangiavo a quell'epoca. Lavorando in ospedale, per risparmiare tempo avevo imparato a buttare giù qualche cosa al volo durante una conferenza o addirittura in ascensore!

(ne conosciamo di tipi del genere, eh, Roger?). Andavo avanti a furia di chili con carne, bagel e Coca Cola. Abbinamento che, con il senno di poi, considero letteralmente esplosivo!!! un concentrato di farine bianche, zuccheri e grassi animali pieni di omega 6, ormoni e tossine.

Come quasi tutti coloro che sono usciti dal primo, terrificante incontro con un cancro, anch'io preferivo comportarmi come se avessi avuto una polmonite o mi fossi rotto una gaba, raccontandomi che avevo fatto il necessario e che tutto ormai era passato. Preso dal lavoro e dalla nascita di mio figlio, avevo nettamente diminuito l'attività fisica e avevo lasciato perdere anche l'effimero interesse per la meditazione che mi aveva suscitato la lettura di Jung ( attività fisica e meditazione giornaliera sono i pilastri per un buon funzionamento del sistema immunitario: almeno 30 minuti al giorno per la prima e 20 per la seconda. n.d. A.). Non ero stato mai neppure sfiorato dall'idea che, se mi era venuto un cancro, probabilmente qualcosa nel mio 'terreno' gli aveva permesso di svilupparsi, e che quindi fosse il caso di adottare qualche provvedimento per limitare i rischi di una ricaduta.

Qualche mese dopo quella conversazione con la mia amica, accompagnai una paziente nativo-americana a una cerimonia alla quale partecipavano famigliari e amici di lei, e durante la quale un uomo-medicina avrebbe invocato gli spiriti per aiutarla a superare la sua malattia. Fui subito colpito dallo sciamano, un uomo di grande umanità, sincero e sensibile. Sapeva trovare delle parole molto semplici per descrivere ogni partecipante e far sentire alla mia paziente che ognuno di loro dava il suo contributo alla sua voglia di vivere, e pertanto alla sua salute. Non avevo dubbi circa il fatto che la sua pura presenza esercitasse uno straordinario effetto terapeutico.

Incuriosito dai misteriosi poteri attribuiti a quell'uomo, dopo la cerimonia gli chiesi di toccarmi il cranio e dirmi se percepisse qualcosa. Mi pose delicatamente la mano sulla testa, chiuse gli occhi per qualche secondo, poi dichiarò:”Forse c'è stato qualcosa, qui, ma ora è andato via. Non c'è più nulla”.

Non ne rimasi impressionato più di tanto, sapevo già che non c'era niente perchè avevo appena fatto i controlli annuali ed erano risultati negativi. Lui però dovette intuire questa sicurezza nel mio atteggiamento, perchè con un pizzico di malizia negli occhi aggiunse:”Sa, tutti vogliono farsi visitare da me, ma il vero uomo-medicina è mia madre!”.

Così, il giorno dopo andammo insieme da sua madre, una donnina di novant'anni, fragile e minuta, che mi arrivava a malapena al mento. Viveva sola in una roulotte e si spostava con una sveltezza

sorprendente per la sua età. Aveva il viso solcato da profonde rughe ed era quasi senza denti, però quando sorrideva – e lo faceva spesso – quei suoi occhi penetranti parevano illuminarsi di giovinezza. Mi posò a sua volta la mano sulla testa, concentrandosi per qualche istante, e poi mi disse con dolcezza:”C'è un problema. Lei ha avuto qualcosa di grave che ora sta tornando, ma non si preoccupi, ne uscirà benissimo”. Poi aggiunse che era stanca, la visita era finita.

Non diedi molto credito a quelle parole, preferivo fidarmi dei risultati della TAC che risalivano ad appena tre mesi prima. Eppure quella predizione dovette toccare un nervo scoperto, perchè prima di sottopormi agli esami successivi lasciai passare meno tempo del solito. E a quel punto scoprii che l'anziana sciamana aveva ragione: il cancro si era formato di nuovo, esattamente nello stesso punto.

Ora, rendersi conto di avere un tumore è uno shok perchè ci si sente traditi dalla vita, dal proprio stesso organismo, ma scoprire di avere una ricaduta è semplcemente tremendo. È come capire, di colpo, che il mostro che si credeva sconfitto non è mai morto, anzi, è rimaso in agguato nell'ombra, e adesso sta rialzando la testa. Finirà mai quest'incubo?

La botta di quell'annuncio mi fece rivivere in un lampo tutte le sofferenze e le paure patite la prima volta e mi dissi che nonavrei più potuto sopportare di nuovo un simile calvario. Quel giorno annullai tutti gli appuntamenti del pomeriggio e andai a fare una camminata. Da solo. La testa mi scoppiava e mi sentivo frastornato e sconvolto. Avrei voluto parlare con Dio, ma non ero credente. Infine riuscii a concentrarmi sulla respirazione e a calmare la tempesta di pensieri per guardarmi dentro, in un atteggiamento molto simile a una preghiera:”O mio corpo, mio essere, mia forza vitale, perdonami! Fammi sentire cosa ti sta capitando, fammi capire perchè ti sei lasciato sopraffare così...Dimmi di cosa hai bisogno, cosa ti nutre, ti rafforza e ti protegge di più. Dimmi come potremo percorrere questo cammino insieme, perchè io, da solo, con la mia testa, non ci sono riuscito e non so più cosa fare...”

Dopo un po' mi armai di coraggio e mi preparai a rifare il giro degli specialisti per raccogliere i loro vari pareri.

Come spesso avviene davanti a un cancro, il chirurgo che consultai mi disse che bisognava operare, il radiologo che occorreva una radioterapia, l'oncologo che si poteva tentare con la chemio. Si potevano anche abbinare fra loro questi trattamenti, che però presentavano tutti gravi svantaggi. La chirurgia avrebbe comportato l'asportazione non soltanto del tumore, ma anche di tessuti cerebrali sani per lasciare il minor numero possibile di cellule cancerose, ben sapendo che nella forma di tumore che mi aveva colpito ne restano sempre.

Con la radioterapia al cervello, invece, esisteva il rischio ( remoto ma non trascurabile ) di sviluppare una forma di demenza nell'arco di dieci-quindici anni. Ora, se le probabilità di guarigione son scarse, si può ricorrere a questa tecnica per guadagnare qualche anno, ma io ero deciso a puntare su una sopravvivenza il più possibile lunga. Uno dei neuroscenziati più brillant con i quali avessi lavorato aveva sviluppato una forma di demenza dopo aver subito una radioterapia per un tumore cerebrale che non era neppure maligno, e io non volevo fare la sua stessa fine.

Quanto alla chemioterapia, per definizione si tratta di un veleno, un veleno che uccide in primis le cellule che si moltiplicano più rapidamente, ossia quelle tumorali, ma anche quelle dell'intestino, del sistemma immunitario, dei capelli. E rischiava di provocare la sterilità. L'idea di vivere per mesi e mesi con quel veleno in corpo non mi allettava affatto, e per giunta senza garanzia di successo, visto che i tumori al cervello presentano la fastidiosa tendenza a diventare rapidamente resistenti alla chemio.

Alla fine ho deciso di affiancare all'operazione chirurgica un anno di chemioterapia per eliminare il massimo possibile di cellule tumorali, e in quello stesso periodo mi sono tuffato nella letteratura scientifica per tentare di battere le statistiche che mi riguardavano. E questa volta avevo imparato la lezione: mi sarei dovuto occupare seriamente del mio 'terreno'. ( e tu, Roger, quando deciderai di occuparti SERIAMENTE del tuo terreno?)



Pagina 118. gli alimenti anti-cancro. La nuova medicina della nutrizione.



Il principio tibetano.



La mia visione della medicina ha iniziato a scricchiolare nelle vie di Dharamsala, in India, dove ha sede il governo tibetano in esilio. Nel corso di una missione umanitaria presso gli orfani tibetani, mi sono reso conto che in quella città esistevano due sistemi sanitari paralleli. Il primo faceva perno sul Dalac Hospital, un moderno istituto occidentale, con i reparti di chirurgia e radiologia e i medicinali a cui siamo abituati noi. Attorno a quell'ospedale, medici formati sì in India, ma all'occidentale, oppure in Gran Bretagna o negli Usa, praticavano nei loro studi privati la stessa medicina che era stata insegnata a me. Nelle nostre conversazioni parlavamo degli stessi testi di riferimento e ci capivamo al volo.

Sempre lì esistevano, però, anche una facoltà universitaria in cui veniva insegnata la medicina tibetana tradizionale, una manifattura che produceva rimedi ottenuti dalle piante e una schiera di medici tibetani che curavano i pazienti con metodi completamente diversi da quelli che avevo studiato io. Esaminavano il corpo come se fosse un giardino: non cercavano i sintomi della malattia, spesso evidenti, quanto piuttosto i difetti del terreno, ciò che gli mancava per difendersi dalla malattia. L'obiettivo era capire come fortificare l'organismo, ossia la terra di quel giardino, per spingerlo a combattere con le proprie risorse il disturbo che aveva portato il paziente dal medico.

Non avevo mai guardato alla malattia in quell'ottica e un simile approccio mi lasciava parecchio perplesso, anche perchè i colleghi tibetani suggerivano rimedi che ai miei occhi apparivano del tutto esoterici e probabilmente inefficaci. Parlavano di agopuntura, di meditazione, di infusi e, soprattutto, di correggere l'alimentazione. Nel mio sistema di riferimento nulla di tutto ciò poteva essere veramente efficace, se non forse per dare un minimo di speranza al paziente, tenendolo occupato e lasciandogli credere che gli servisse a qualcosa...

Mi domandai allora che cosa avrei fatto se fossi stato tibetano e se mi fossi ammalato. Potendo scegliere fra quei due diversi approcci sanitari, quale avrei preferito? Rivolsi questa domanda a tutte le persone con cui lavoravo o che avevo occasione di incontrare. La posi al ministro della Sanità, che mi aveva invitato in missione in India, al fratello del Dalai Lama, che mi ospitava in casa sua, ai grandi lama medici ai quali venivo presentato, ma anche alla gente comune in cui mi imbattevo nei miei spostamenti a piedi attraverso la città. Ero convinto di mettere quelle persone davanti ad un dilemma: avrebbero scelto la medicina occidentale, moderna ed efficace, o quella ancestrale – che lo era necessariamente di meno – per rispetto della tradizione?

Puntualmente, tutti mi guardavano come se avessi posto una domanda assolutamente stupida. “Ma è ovvio” era la risposta unanime, “se si tratta di una malattia acuta, come una polmonite, un'infaro, un'appendicite, bisogna rivolgersi alla medicina occidentale, che ha terapie rapide ed efficaci per le crisi. Ma se si tratta di una malattia cronica è meglio rivolgersi a un medico tibetano, che usa terapie più lente, sì, ma che curano il terreno in profondità, il che a lungo termine è l'unica cosa che funziona davvero.

E il cancro? Si calcola che occorrano tra i 4 ed i 40 anni perchè una prima cellula mutante possa trasformarsi in un tumore maligno. Va dunque ritenuta una malatti acuta o cronica? E cosa facciamo noi in Occidente, per “curare il terreno”? ( e cosa fai tu, Roger, per curare il tuo terreno? n.d. A. )



da pag 122. Avere un cancro senza essere malati.



Un giovedì sera Richard Beliveau, biochimico e ricercatore che dirige uno dei più grandi laboratori di medicina molecolare al mondo ed è specializzato nella biologia del cancro, ricevette una drammatica telefonata dalla moglie di un suo amico che soffriva di un grave tumore al pancreas ( come è successo al tenore Luciano Pavarotti e all'attore americano Patrick Scwazy ). Lenny abitava a New York, e al Memorial Sloan-Kettering Cancer Center – uno dei migliori centri oncologici statunitensi – gli erano stati pronosticati pochi mesi di vita. Il tumore al pancreas è, effettivamente, uno dei più inesorabili che si conoscano. Quanto a Lenny, pareva uscito dalle pagine di un romanzo: imponente, dalla risata fragorosa e dagli accessi di collela leggendari, amava da sempre il poker ed il casinò. Gli erano capitate delle pessime carte ma, ancora una volta, era deciso a tentare la sorte sino all'ultima mano. Beliveau aveva una terapia, un metodo da suggerirgli? Era pronto ad andare in capo al mondo per sottoporsi a qualsiasi protocollo sperimentale.

All'altro capo del filo, Beliveau capiva che la moglie di Lenny faceva fatica a parlare per il magone che le chiudeva la gola. “Sono trentadue anni che viviamo insieme, non ci siamo mai separati. Non possiamo credere che finisca tutto così, in questo modo, così brutalmente. Ci serve solo un po' più di tempo...solo un po' di tempo...”

lui si fece mandare la cartella clinica via fax e, il mattino dopo, si mise subito a spulciare le banche dati internazionali in cerca dei più recenti protocolli di ricerca. Sul tumore al pancreas, però, erano poco numerosi e nelle rare sperimentazioni in corso non accettavano pazienti a uno stadio così avanzato. Con il cuore gonfio, ritelefonò alla moglie di Lenny per annunciarle la brutta notizia. Lei scoppiò a piangere, poi gli disse: “So che tu studi gli effetti dell'alimentazione sul cancro. Mi occuperò io di Lenny dalla A alla Z sino all'ultimo istante, farà tutto quello che gli dirò. Se hai dei suggerimenti, noi li seguiremo tutti dal primo all'ultimo. Non abbiamo nulla da perdere”.

Era vero: non avevano nulla da perdere. Se le sue idee erano giuste, era dunque il momento di metterle al servizio di qualcuno che ne aveva veramente bisogno.

Per tutto il week-end, Beliveau si immerse nella banca dati MedLine, una raccolta informatizzata ti tutti gli articoli medici pubblicati al mondo, tenuta aggiornata dalla National Library of Medicine di Washington. Raccolse articoli di ogni genere su alimenti che avessero mostrato di possedere qualche effetto anticancro, poi si mise a calcolare le concentrazioni di composti fitochimici che è possibile ottenere con normali dosi da cucina, valutandone la biodisponibilità e l'assimilazione intestinale.

In quei due giorni di intenso lavoro riuscì a stilare la prima lista di alimenti contro il cancro, che avrebbe poi formato il nucleo di un libro destinato a un successo strepitoso in parecchie lingue. Comprendeva, fra gli altri, le diverse varietà del cavolo, i broccoli, l'aglio, la soia, il te verde, la curcuma, i lamponi, i mirtilli e il cioccolato fondente.

La domenica sera ritelefonò alla moglie di Lenny per dettarle la lista, accompagnandola con un'avvertenza fondamentale: “Il cancro è come il diabete: bisogna occuparsene ogni giorno. I medici vi hanno detto che a Lenny restano ancora alcuni mesi di tempo: è necessario fargli mangiare questi alimenti tutti i giorni, tre volte al giorno, senza mai sgarrare. Un consumo occasionale non serve a nulla”. Beliveau indicò inoltre gli alimenti da mettere al bando: in pratica tutti i grassi, tranne l'olio di oliva e quello di lino, per evitare gli omega 6 che attivano lo stato infiammatorio. Le diede inoltre alcune ricette giapponesi che conosceva bene e che gli piacevano particolarmente. La donna prendeva scrupolosamente appunti:”Gli preparerò questi piatti ogni giorno”, promise. Era l'unica cosa alla quale poteva ancora aggrapparsi.

I primi giorni, lei gli telefonava spesso: seguiva attenta le indicazioni di Beliveau, ma aveva paura, e scoppiava invariabilmente a piangere:”Non voglio perderlo...non voglio perderlo...”. Nel giro di qualche settimana, però, il tono cambiò:”E' la prima volta che si alza da 4 mesi”, oppur “Oggi ha mangiato di gusto”. Giorno dopo giorno, i miglioramenti diventavano più vistosi:”Va meglio, oggi cammina”, e addiritura:”E' uscito di casa..”.

Beliveau non credeva alle proprie orecchie. Si trattava pur sempre di un tumore al pancreas, il più terribile, il più aggressivo, il più fulminante. Eppure non c'erano dubbi: nell'organismo stremato di Lenny qualcosa stava reagendo.

Lenny sopravvisse quattro anni e mezzo. Il tumore si era stabilizzato a lungo ed era addirittura regredito di un quarto, permettendogli di riprendere le sue consuete attività, i suoi viaggi. Il suo oncologo di New York, diceva di non aver mai visto nulla di simile. Per un certo tempo, tutto andò come se Lenny avesse un cancro senza esserne ammalato, anche se il suo organismo finì poi per soccombere.

Beliveau, raccontando questa vicenda, quasi arrossisce. “Era la prima volta che facevo raccomandazioni del genere. Naturalmente si trattava di un caso unico, non se ne poteva concludere nulla, eppure...che fosse una strada praticabile?” per un ricercatore che aveva dedicato tutta la vita allo studio della biologia in chemioterapia, si trattava di una bella sorpresa. Ma, dopotutto, che cosa ci impedisce di mangiare meglio durante una chemioterapia, o dopo? Non ci sono certo controindicazioni.

Nei giorni a seguire, Beliveau continuò a svegliarsi in piena notte, assillato dal dubbio su cosa fare. “Ho il diritto di passare sotto silenzio una scoperta così importante per la salute pubblica? È moralmente accettabile che non esplori sistematicamente, scientificamente, questo approccio dietetico?”.

Alla fine decise di lanciare il suo laboratorio nel più importante programma di ricerca mai intrapreso sugli effetti biochimici degli alimenti anticancro, e da allora i risultati sono stati tali da stravolgere in modo completo le idee sul miglior modo per proteggersi dal cancro.  

12.1.10

il prozac


Il Prozac è un inibitore del recupero della serotonina.
E' molto usato per curare gli stati depressivi .

La serotonina non è altro che uno delle centinaia di neurotrasmettitori nel cervello.
Essa potrebbe risultare uno dei più importanti.
Infatti contribuisce a determinare il nostro stato d'animo e cioè se siamo depressi, inclini alla violenza, irritabili, impulsivi o golosi.
In sostanza è una sorta di genitore supplementare, sistemato nel cervello, che suggerisce quando è il caso di dire no.
E ha anche una notevole influenza sull'eccesso di insulina, il principale pilastro dell'invecchiamento.
La serotonina è un ormone paracrino che, come tale, si muove su brevi distanze, da una cellula nervosa a una vicina.
Dopo aver consegnato i messaggi ai propri recettori, viene recuperata dalla cellula di provenienza per prepararsi a una nuova missione.
Quando questo meccanismo fila liscio, il cervello funziona bene, compreso l'ipotalamo che, come già sappiamo, è il centro di elaborazione dei segnali che giungono dai sensori di tutto l'organismo.
Le informazioni provengono da svariati neuroni, più precisamente dai neurotrasmettitori che si spostano da una cellula nervosa all'altra.
Molte delle nuove conoscenze sull'importanza della serotonina nel funzionamento cerebrale e nell'equilibrio ormonale derivano dallo sviluppo di farmaci capaci di aumentarne i livelli nelle giunzioni nervose ( le sinapsi ), evitando che, una volta trasmesso il segnale, venga poi recuperata dalle terminazioni nervose che l'avevano originariamente prodotta. Il livello più elevato di serotonina che risulta nelle giunzioni sinaptiche offre al cervello maggiori possibilità di modificare le comunicazioni nervose. Tra i farmaci che inibiscono il recupero della serotonina da parte della cellula originaria, quella più conosciuta è il Prozac.
Per spiegare l'enorme successo di questi farmaci ( Prozac e altri analoghi ) si possono fare varie ipotesi: o è cresciuta una nuova generazione di Prozac-deficienti, o lo stress è enormemente aumentato in una sola generazione, oppure i cambiamenti nello stile dell'alimentazione hanno radicalmente modificato i livelli naturali della serotonina. Io credo che l'interpretazione corretta sia la terza. Per spiegare la ragione del mio convincimento, occorre descrivere più in dettaglio l'azione della serotonina che è anche il precursore della melatonina. Entrambi possono essere controllati attraverso l'alimentazione, perchè derivano in ultima analisi dall'amminoacido triptofano.
Il rapporto tra serotonina e melatonina è particolarmente evidente nell'epifisi ( detta anche ghiandola pineale), in cui i livelli di serotonina sono più alti di giorno e calano durante la notte, mentre quelli di melatonina fanno il contrario. Ed è perfettamente logico, se si considera che la melatonina si sintetizza a partire dalla serotonina. Inoltre la conversione della serotonina in melatonina è favorita dall'aumento dei livelli di AMP ciclico (cAMP), e quindi la dieta a Zona può facilitarne la dinamica. Le fluttuazioni di questi due ormoni nella ghiandola pineale generano i ritmi circadiani, che controllano le nostre attività quotidiane. Una conseguenza di questi ritmi è che il rilascio di molti ormoni endocrini è anch'esso controllato dai cicli temporali della serotonina e della melatonina. Il GH per esempio, è rilasciato principalmente di notte, prima del sonno REM, mentre il cortisolo e il testosterone si impennano nelle prime ore del mattino, prima del risveglio. I livelli poi calano per entrambi nel corso della giornata.
L'importanza della serotonina deriva dalla sua capacità di gestire il sistema limbico del cervello, che controlla molti dei comportamenti cosiddetti “primitivi”, ed è importante perchè all'interno del sistema limbico è situato l'ipotalamo. La molteplicità dei ruoli svolti dalla serotonina è confermata dall'esistenza di più di una decina di suoi recettori di tipo diverso. A differenza della maggioranza degli altri neurotrasmettitori, sembra che il compito della serotonina non sia tanto di trasportare informazioni, quanto piuttosto di bloccarne il flusso. Si potrebbe dire che agisce come un poliziotto che controlla il traffico: blocca alcuni dei nostri istinti più primitivi controllando gli input che si dirigono verso l'ipotalamo. In pratica, troppa poca serotonina può significare meno controllo sui nostri impulsi più animaleschi.
È stata infatti rilevata l'esistenza di un rapporto diretto tra bassi livelli di serotonina da un lato e violenza e aggressività dall'altro. La scimmia Rhesus, oltre che per studiare l'invecchiamento, è anche un ottimo modello per approfondire gli effetti della serotonina sulla propensione alla violenza: si è scoperto che le scimmie con livelli più bassi di serotonina tendono ad essere le più violente; al contrario, quelle educate a comportamenti non aggressivi hanno livelli di serotonina molto superiori al normale. Lo stesso vale per gli esseri umani: i criminali più violenti tendono di solito ad avere bassi livelli di serotonina.
Oltre che sui comportamenti, la serotonina influisce anche sugli stati d'animo, in particolare sulla depressione, che ha sempre fatto parte della condizione umana, ma ora ha raggiunto le dimensioni di una vera e propria epidemia.
Per capire perchè una bassa concentrazione di serotonina contribuisca ai sintomi della depressione occorre chiarirne i meccanismi d'azione a livello molecolare. In ogni giunzione sinaptica gli impulsi nervosi devono decidere ogni volta quale percorso imboccare. Queste giunzioni possono essere paragonate a incroci stradali molto complicati. La capacità di consentire a un impulso nervoso di trasferirsi dal neurone che lo invia ( pre-sinaptico ) a quello cui sarebbe destinato ( post-sinaptico ) dipende dalla quantità e qualità dei neurotrasmettitori rilasciati dalla cellula nervosa a monte e dal tipo di recettori che il segnale trova sui neuroni che si affacciano sull'incrocio ( la sinapsi ).
Se i recettori del neurone destinatario sono stimolati adeguatamente da un livello di neurotrasmettitori sufficientemente elevato, l'impulso viene rigenerato in questa cellula nervosa e può procedere fino a portare la sua informazione all'ipotalamo per produrre l'appropriata azione. In sostanza, ogni giunzione sinaptica fa da ripetitore del segnale, come in un ponte radio. È qui che entra in scena la serotonina: il suo ruolo consiste nell'inibire questo flusso d'informazioni ( il genitore supplementare che induce a dire di no ). Se insieme con gli altri neurotrasmettitori viene rilasciata abbastanza serotonina, il trasferimento dell'impulso nervoso al destinatario si blocca; se invece non c'è abbastanza serotonina, l'impulso prosegue indisturbato per la sua strada. E se proviene dalla regione limbica del cervello, dove risiedono i nostri istinti più primordiali, l'azione biologica può favorire la malinconia e la depressione, o, in casi estremi, portare a un comportamento violento.

10.1.10

Il pomodoro, il miglior amico della prostata

Il licopene, responsabile delle proprietà antitumorali del pomodoro.

Il licopene è una molecola fitochimica responsabile del colore rosso del pomodoro.

Il ruolo del licopene è ancora poco noto, (2009), ma diverse recenti osservazioni suggeriscono che tra tutti i carotenoidi , il licopene è quello con il maggior impatto sulla prevenzione del cancro.

Il pomodoro è di gran lunga la migliore fonte alimentare di questa sostanza.

Il contenuto di licopene nei pomodori coltivati è sfortunatamente molto inferiore rispetto a quello della specie selvatica originaria, il Lycopersicon pimpinellifolium ( 50 microgrammi per grammo contro i 200-250 di alcune specie selvatiche ).

I prodotti fabbricati a partire del pomodoro cotto sono particolarmente ricchi di licopene e, cosa ancor più importante, la rottura delle cellule del frutto tramite il calore permette una miglior estrazione della molecola e induce dei cambiamenti strutturali, che la rendono più assimilabile dall'organismo.

I grassi aumentano anch'essi la disponibilità del licopene e la cottura dei pomodori in olio d'oliva permette dunque di aumentare la quantità di licopene che può essere assorbita.

Il ketchup, pur avendo un elevato contenuto di licopene, contiene anche zucchero in quantità pari a quasi un terzo del suo peso.  E lo zucchero è la maggior fonte di crescita per i tumori!!!

I Paesi che sono grandi consumatori di pomodoro, come l'Italia, la Spagna e il Messico, hanno un tasso di tumore alla prostata molto più basso dell'America del Nord.

I meccanismi con cui il licopene riduce lo sviluppo del cancro alla prostata sono ancora poco noti.

Il licopene è un eccellente antiossidante, ma il contributo di questa caratteristica all'effetto antitumorale rimane oscuro.

Poichè il licopene assorbito si accumula soprattutto a livello della prostata, la molecola si troverebbe dunque localizzata in modo ideale per impedire un'eventuale crescita eccessiva delle cellule tumorali.

In sintesi, il consumo di prodotti a base di pomodoro costituisce un ottimo metodo per ridurre il rischio di sviluppare il cancro alla prostata.

Detto ciò, i risultati ottenuti finora indicano che la quantità di licopene necessaria per osservare una significativa riduzione nel rischio di tumore è relativamente elevata.

E' quindi importante scegliere non solo prodotti ricchi di licopene, ma anche quelli in cui la forma di licopene presente è maggiormente assimilabile dall'organismo.

In questo senso, la salsa di pomodoro rappresenta l'alimento ideale, poichè presenta grandi concentrazioni di questa molecola, che è resa facilmente assimilabile dalla cottura prolungata dei pomodori e dalla presenza dell'olio d'oliva.

Il semplice consumo di due pasti alla settimana a base di pomodoro può ridurre del 25% il rischio di sviluppare un tumore alla prostata.

E non dimenticate di aggiungere l'aglio!

Sembra infatti che l'aglio ( come anche la cipolla,il porro,lo scalogno e l'erba cipollina, tutti appartenenti alla famiglia Allium ) siano in grado di prevenire il tumore alla prostata.

Da uno studio effettuato sugli abitanti di Shangai è emerso che chi consuma quotidianamente più di 10 g di ortaggi della famiglia Allium ha il 50% in meno di rischio di manifestare il cancro alla prostata rispetto a chi ne consuma meno di 2 g al giorno.
Questo effetto protettivo sembra essere particolarmente pronunciato nell'aglio, rispetto alle altre verdure della stessa famiglia.

Fonti alimentari principali di licopene: mg/100gr

concentrato di pomodoro                     29,3
salsa di pomodoro                               17,5
ketchup                                               17,0
passata dipomodoro                            15,9
zuppa di pomodoro concentrata           10,9
conserva di pomodoro                           9,7
succo di pomodoro                                9,3
cocomero                                              4,8
pomodoro crudo                                    3,0
papaya                                                   2,0
pompelmo rosa                                       1,5

9.1.10

ipertrofia prostatica

L’ ipertrofia Prostatica Benigna (IPB),
o adenoma (=tumore benigno di origine ghiandolare) della prostata,
è la patologia più comune del sesso maschile: 
dai 50 ai 60 anni interessa più del 50% degli uomini,
dai 60 ai 90 anni il 95%  circa. 
La crescita di questa ghiandola incomincia  dal quarantesimo anno di età
e prosegue  inesorabilmente con il tempo grazie all’azione  degli ormoni androgeni e,
come testimoniano alcuni recenti studi, anche  alla presenza degli estrogeni.
Tale patologia è comunque destinata ad aumentare ancora di più
se si considera che l’età media della popolazione industrializzata è in continua crescita:
secondo stime del Bureau of Census, entro il 2020,
gli uomini americani con oltre 65 anni raddoppieranno, raggiungendo i 70 milioni,
mentre gli ottuagenari cresceranno del 500%, raggiungendo i 20 milioni.
Attualmente si calcola che i cittadini europei con più di 50 anni
rappresentino il 31% della popolazione totale;
inquadrando questo dato nel trend attuale di invecchiamento della popolazione,
tra cinque anni,  rappresenteranno il 62%.
L’ipertrofia prostatica benigna è quindi un processo inevitabile che, a giusta ragione,
alla fine del 1996, dalla quarta consulta mondiale sulla Ipertrofia Prostatica Benigna,
è stata riconosciuta ufficialmente
come un problema di salute pubblica a livello internazionale.

In Italia,  uno studio epidemiologico sta per essere completato,
ma i  dati autoptici testimonino che, sopra i 60 anni,
un uomo su due presenta ipertrofia prostatica.


Perché si urina male

I disturbi della minzione sono causati dall’ingrossamento della prostata
(componente statica)
e dall’ipertono delle fibre nervose di tipo simpatico (componente dinamica);
questo tipo di innervazione determina uno stato di contrazione permanente
della muscolatura liscia uretrale, del collo vescicale,
del tessuto stromale - capsulare e quindi un impedimento costante ad urinare.

In un primo momento si ha la cosiddetta  fase ipercinetica o di compenso
ed i disturbi minzionali sono insignificanti:
il muscolo detrusore della vescica aumenta la propria capacità contrattile
al fine di aumentare la pressione di svuotamento
e superare l’incremento delle resistenze periferiche dovute alla prostata.
In questa fase la vescica riesce di norma a svuotarsi completamente,
sia pure con un flusso ridotto.

Successivamente continuando ad aumentare le resistenze a livello prostatico, 
la vescica (m.  detrusore)  non riesce più a contrarsi in modo efficace
per assicurare lo svuotamento completo e si instaura così la fase di scompenso in cui,
alla progressiva riduzione della contrattilità,
corrisponde la comparsa di un residuo di urina dopo la minzione (fase ipocinetica).  

Se il processo evolutivo non viene arrestato, mediante la somministrazione
di  farmaci o mediante intervento chirurgico, il residuo post-minzionale,
cioè la quantità di urine che rimane in vescica dopo ogni minzione,
è destinato ad aumentare sempre più, provocando da un lato la
riduzione della capacità funzionale della vescica e dall’altro creando
le premesse per più gravi complicanze (infezioni, calcolosi, voluminosi
diverticoli ); in tale situazione, l’organo si avvia ad una distensione progressiva a
causa dell’acinesia muscolare (fase acinetica).

I disturbi della minzione in presenza di adenoma prostatico

I disturbi minzionali sono dapprima di tipo ostruttivo e successivamente di tipo irritativo;
i primi  sono caratterizzati da esitazione ad iniziare la minzione, specie al mattino,
diminuzione del calibro e della forza del getto urinario,
comparsa del gocciolamento dopo la minzione
ed incapacità ad interrompere repentinamente la minzione. 
A questi, in un secondo momento, si sovrapporranno quelli di tipo irritativo
come minzioni notturne, aumento della frequenza minzionale,
minzione imperiosa fino all’urgenza,
sensazione di non aver urinato completamente ed incontinenza urinaria.

I Disturbi Minzionali  più frequenti riferiti da 478 pazienti consecutivi con ipertrofia prostatica 
(A. De Rose et al GIA 1999):


Svegliarsi di Notte  per Urinare                                                              82% 
Diminuzuine del Getto Urinario                                                               68%
Inizio della Minzione Difficoltosa                                                            58%
Sensazione di Svuotamento Incompleto della Vescica                            55%
Frequente Stimolo ad  Urinare                                                               42%
Minzione in più Tempi                                                                           15%
Minzione Imperiosa                                                                               11%
   






chi depositati

anidride solforosa

E220: Anidride solforosa

Origine:
L'anidride solforosa si ottiene dalla combustione dello zolfo, un elemento comune. Sin dall'antichità è usato come conservante: è stato ampiamente impiegato nell'antico Egitto e durante l'Impero Romano.

Funzione & Caratteristiche:
E' un gas incolore, usato come conservante per prevenire il deterioramento sia batterico che enzimatico dei prodotti. L'anidride solforosa dissolvendosi nelle parti acquose dei prodotti produce l'acido che rappresenta l'agente attivo. E' molto efficace in prodotti acidi e leggermente acidi, mentre è inefficace in prodotti a pH neutro.

Agisce anche come agente ossidante con un effetto sbiancante. E' usato come agente sbiancante nelle farine anche se può ossidare i colori (naturali) degli alimenti per cui il suo uso viene limitato.

Infine, esso stabilizza la vitamina C nei prodotti e previene il decoloramento del vino bianco.

Il riscaldamento rimuove dai prodotti l'anidride solforosa come un gas.

Prodotti:
L'anidride solforosa potrebbe essere usata in un'ampia gamma di prodotti acidi.

Dose Giornaliera Ammissibile:
Circa 0.7 mg per kg di peso corporeo.

Effetti Collaterali:
Dovuto ai suoi effetti ossidanti, esso potrebbe ridurre il contenuto di vitamine nei prodotti. Nel fegato, l'anidride solforosa viene ridotta in solfati, non nocivi, che poi vengono eliminati attraverso le urine. Comunque, in pazienti asmatici può causare problemi respiratori; in altre persone, se usato ad alte concentrazioni (superiori a quelle normalmente impiegate nei prodotti) può causare disturbi gastrointestinali.

Restrizioni alimentari:
Nessuna   l'anidride solforosa ed i solfiti possono essere consumati da tutti i gruppi religiosi, dai vegani e dai vegetariani.

8.1.10

come prevenire i problemi della prostata

D’altra parte sembra ormai assodato che una dieta ricca di grassi animali
e povera di micronutrienti antiossidanti
favorisca la proliferazione incontrollata e la degenerazione delle cellule,
in particolare di quelle prostatiche.
Numerosi studi hanno documentato gli effetti positivi di elementi e micronutrienti
quali il selenio, zinco,vitamina E, Licopene, vitamina D3 ed estratto di tè verde 
nella protezione delle cellule  prostatiche dai radicali liberi,
che normalmente si originano durante i  normali processi metabolici.
Nel corso  di un simposio congressuale degli urologi italiani è stato evidenziato
come questi oligoelementi, singolarmente o in sinergia,
oltre ad agire come antiossidanti e sequestrare i radicali liberi,
siano particolarmente efficaci nell’ostacolare in vitro lo sviluppo delle cellule tumorali. 
Studi epidemiologici, hanno evidenziato che l’assunzione quotidiana di questi micronutrienti
riduce il rischio di sviluppare il carcinoma prostatico.
E’ stato osservato inoltre che l’assunzione contemporanea di questi oligoelementi
agisce in modo sinergico impedendo quindi l’incidenza e la progressione della malattia.

7.1.10

il seitan

Il Seitan è un alimento eccellente per diversi motivi:
a) è altamente proteico. Allo stesso livello del parmigiano, ma con la quasi totale assenza di grassi
b) è di derivazione vegetale
c) ha un alto contenuto di potassio
d) avendo anche pochissimi carboidrati, le calorie sono proprio ridotte all'osso!

controllate la scheda qui sotto esposta e confrontate:

alimento           proteine        grassi    carboidrati    potassio    calorie

seitan fresco          36.1            0.4               5.2        1121        168
fagioli secchi          23.6            2.5             64.2        1090        311
carne di bovino      18.8          15.4               0.0          330        214
parmigiano             36.0          25.6               0.0          100        374

I dati qui sopra sono riferiti a 100 grammi di prodotto edibile

Ed ora la preparazione:

Prendere un chilo di farina integrale.
Fare un impasto, con dell'acqua, come per fare il pane.
Far riposare 15 minuti.
Tenere per un'ora in una ciotola anche di plastica, ricoperto totalmente di acqua.
Mettere in un colino da pasta sotto il rubinetto dell'acqua tiepida, impastando,
facendo attenzione che i buchi del colino non siano nè troppo grandi nè troppo piccoli.
Strizzare l'impasto finchè l'acqua che ne esce non è trasparente.
Con il risultato ( una palla attaccaticcia ) fare un impasto a forma di salame
e avvolgere con un canovaccio  e legare con dello spago.
Cuocere nell'acqua bollente per 30 minuti.
Farlo raffreddare e cucinare a piacere.   

i conservanti

I conservanti sono sostanze, naturali o di sintesi, che prolungano il periodo di validità di prodotti alimentari proteggendoli dal deterioramento provocato dai microorganismi.
    Conservanti
I conservanti sono tra gli additivi più critici: da un lato sono importantissimi per evitare intossicazioni anche molto gravi (per esempio da botulino), dall'altra spesso si tratta di sostanze nocive per l'organismo, e quindi da evitare. Vale quindi la pena di capire quali siano i conservanti nocivi e quali quelli accettabili.
Conservanti nocivi
Acido benzoico e suoi sali (E210, E211, E212, E213): sono usati da soli o insieme all'acido sorbico e ai PHB. Non sono ammessi in alcuni paesi per la loro potenziale tossicità, inoltre gli alimenti ai quali vengono aggiunti sono soprattutto le confetture, le gelatine, le marmellate, le gomme da masticare e le bevande analcoliche, tutti prodotti che non necessitano di conservanti.,

Anche gli esteri dell'acido p-Idrossibenzoico (E214, E215, E216, E217, E218, E219), indicati con la siglia PHB, sono vietati in alcuni paesi. Vengono addizionati ai patè, ai rivestimenti di gelatina dei prodotti a base di carne, alla frutta in guscio ricoperta.

I derivati dell'anidride solforosa (E220, E221, E222, E223, E224, E226, E227, E228) sono irritanti e hanno una tossicità acuta e cronica, per esempio interagiscono con gli enzimi cellulari e distruggono alcune vitamine (per esempio la tiamina). Vengono usati nel vino, nella birra (anche per questo bisogna moderarne il consumo, non solo per l'alcol) e in altre bevande come i succhi di frutta, nella senape e in altri condimenti.

I derivati fenolici e il tiabendazolo (E230, E231, E232 , E233) sono dotati di una certa tossicità, infatti sono proibiti in Australia. Vengono utilizzati per il trattamento superficiale degli agrumi e delle banane (per questo bisognerebbe usare solo la scorza delle arance non trattate).

La netamicina (E235), un antibiotico utilizzato sulla superficie dei formaggi, (soprattutto dei provoloni) provoca problemi intestinali.

I nitriti (E249 ed E250) e i nitrati (E251 ed E252) sono utilizzati nei salumi e nelle carni conservate, e meritano un discorso a parte.
Conservanti innocui
Sono i sorbati (E 200, E202, E203), l'acido acetico e i suoi sali di potassio E260, E261, E262, E263, l'acido lattico e i suoi sali di sodio (E270, E325, E326, E327), l'acido propionico e i suoi sali (E280, E281, E282, E283), l'anidride carbonica (E 290).

31.12.09

melatonina, protettore contro le carenze immunitarie

La Melatonina come Protezione contro le Carenze Immunitarie, i Tumori e le Patologie Cardiache.

Lo scuro suolo vulcanico della terra era rovente.
Qua e là si alzavano nuvole di vapori di zolfo che diffondevano un fetore penetrante.
La vita sembrava impossibile su questo pianeta inospitale.
E invece, alcuni millenni più tardi, nacquero i primi esseri viventi monocellulari.
A dispetto delle condizioni ostili, traevano l'energia vitale dalla luce del sole.
Col tempo si svilupparono forme di vita più complesse:
piante che producevano il proprio nutrimento a partire dall'acqua e dal biossido di carbonio, con l'aiuto dell'energia solare.
Come prodotto di scarto cedevano ossigeno all'atmosfera.
Senza ossigeno gli animali e gli uomini non potrebbero sopravvivere.
Ma alcune forme dell'ossigeno hanno anche effetti distruttivi:
come fanno arrugginire il ferro, così danneggiano le cellule dell'uomo, degli animali e delle piante, e possono provocare malattie e logoramento dell'organismo.
Per proteggersi da questi effetti, gli esseri viventi della terra svilupparono milioni di anni fa una sostanza con proprietà sorprendenti: la melatonina.

Il nostro corpo è sottoposto quotidianamente agli attacchi di innumerevoli microrganismi portatori di infezioni.
Batteri, virus e funghi ci rendono la vita difficile.
Ma per fortuna disponiamo di un ben organizzato sistema che ci difende da questi attacchi: il sistema immunitario.
Fra esso e gli innumerevoli agenti patogeni infuria una lotta continua e senza quartiere.

I nostri organi interni sono separati dall'ambiente esterno mediante la pelle, che li protegge efficacemente dai fattori esterni.
Questa importante barriera protettiva dispone inoltre di una serie di meccanismi di difesa che impediscono agli agenti nocivi di penetrare fino agli organi interni.
Ma le aperture naturali del corpo - gli occhi, la bocca, il naso, le orecchie, l'ano, la vagina, l'uretra - costituiscono dei punti deboli,
attraverso i quali i corpi estranei possono penetrare con relativa facilità all'interno del corpo.
Tutte queste aperture dispongono di uno speciale strto difensivo che produce muco, secrezioni o enzimi che al primo attacco cercano di neutralizzare chimicamente gli intrusi: le mucose.
Spesso basta questa protezione a preservare l'organismo dalle infezioni.

Ma nonostante tali difese, agenti patogeni mortali riescono sempre a penetrare.
Adesso entra in azione il sistema immunitario.
Senza tale difesa, il nostro organismo non potrebbe vivere: grazie a questo complesso sistema, infatti, anche le cellule estranee che sono già penetrate nel circolo sanguigno o nei tessuti vengono eliminate rapidamente e radicalmente.

Un elemento molto importante del nostro sistema immunitari è il sangue, il quale contiene i globuli rossi e i globuli bianchi.
I globuli rossi trasportano ai vari organi l'ossigeno assorbito dai polmoni;
i globuli bianchi, o linfociti, sono gli specialisti antiterrorismo del sistema immunitario.
Di essi il 4% sono costantemente in circolazione nel sangue, così da poter intervenire immediatamente in qualunque punto si presentino dei problemi.
Gli altri linfociti, la maggior parte, sono immagazzinati nei noduli linfatici, nel midollo osseo, nel timo e nella milza, e si mettono in movimento nei casi di emergenza.
Attraverso la circolazione sanguigna e quella linfatica vengono rapidamente trasportati nel punto dove il nemico cerca di sfondare.

Ci sono diversi tipi di linfociti: i fagociti, che divorano e digeriscono microrganismi e sostanze estranee.
Al loro fianco troviamo i linfociti B e T.
I linfociti B producono sostanze proteiche ( anticorpi ) non appena registrano la presenza di cellule estranee:
Gli anticorpi vengono configurati a misura della struttura delle cellule nemiche, e vi si adattano come la chiave alla serratura, disattivandole.
Nel caso di un'infezione, come l'influenza, il sistema immunitario neutralizza in tal modo gli agenti patogeni.
Questo processo richiede naturalmente un certo tempo: ci vogliono almeno uno o due giorni prima che il sistema abbia identificato gli aggressori e riesc a produrre anticorpi adeguati in quantità sufficiente.

Il sistema immunitario memorizza la struttura degli aggressori che ha già combattut, e se l'aggressione si ripete riesce a produrre in modo più rapido ed efficace gli anticorpi adatti.

Anche i linfociti T, che si distinguono in linfociti T-Helper e T-Killer, hanno una parte importante nella difesa dalle infezioni, per esempio dai virus.
I linfociti T-Killer riconoscono le cellule nemiche, i cosidetti antigeni.
A questo punto i linfociti T-Helper provvedono a che i T-Killer si riproducano rapidamente e si gettino sulle cellule estranee, vi si attacchino e le distruggano.
Alcuni dei linfociti T-Killer prodotti per contrastare le cellule nemiche rimangono vivi per diverso tempo, e servono per così dire da ufficiali della riserva "esperti": qualora si dovesse ripetere un attacco delle stesse cellule estranee, potranno intervenire molto più rapidamente.

La meravigliosa efficacia del nostro sistema immunitario si fonda dunque sul fatto che al primo contatto con le cellule nemiche i linfociti ne memorizzano la struttura e possono reagire così immediatamente a un rinnovato attacco.

Ma nelle persone anziane il sistema immunitario perde a poco a poco efficacia: esse divengono più soggette a tutte le possibili malattie infettive e anche ai tumori.
Alcuni studiosi della melatonina pensano che questo indebolimento delle nostre difese immunitarie sia causato dalla diminuita produzione di melatonina.

Come hanno potuto constatare, infatti, la melatonina ha un ruolo importante per il sistema immunitario.
Walter Pierpaoli provò a somministrare ad alcuni topi un medicinale che inibiva la produzione di melatonina, col risultato che il sistema immunitario di quei topi si indebolì.
Successivamente somministrò agli animali la melatonina in modo da ristabilire il livello notturno abituale, e subito il loro sistema immunitario si riprese.
In un altro esperimento, Pierpaoli iniettò a dei topi virus dell'encefalomiocardite ( questi virus colpiscono il muscolo cardiaco ed il sistema nervoso centrale, provocando febbre, mal di testa e vomito ), e poi somministrò loro la melatonina.
La malattia ebbe un decorso molto più leggero, e morirono meno topi di quanto accada normalmente con questo virus.
Pierpaoli crede perciò che le melatotina abbia la capacià di "soffocare" all'inizio molti virus prima che possano diffondersi, e che abbia dunque un'importante funzione nella prevenzione delle malattie.

Un collega di Pierpaoli, il dottor Georges Maestroni, dell'Istituto Cantonale di Patologia di Locarno, ebbe l'idea di iniettare l'ormone della ghiandola pineale a topi sani, per vedere se anche il loro sistema immunitario si rinforzava,
Successivamente ai topi vennero iniettate cellule di pecora, cioè cellule estranee che un sistema immunitario intatto riconosce e combatte immediatamente come estranei potenzialmente pericolosi.
E in effetti nei topi trattati con la melatonina vennero attivate cellule immunitarie in umero maggiore che nei topi del gruppo di controllo, a cui Maestroni aveva iniettato una semplice soluzione salina.

Ulteriori altri esperimenti condotti da altri ricercatori, il cui interesse per l'ormone di recente scoperta naturalmente cresceva sempre di più, confermarono  che questi promettenti risultati valgono anche per gli esseri umani:
si constatò per esempio che l'assunzione di melatonina accresce la produzione di linfociti NK (Natural Killer), un importante elemento delle difese immunitarie per esempio contro i tumori.
Anche la concentrazione di IgA ( immunoglobuline A ), una proteina contenuta nella saliva che ci protegge dai raffreddori e dalle malattie delle vie respiratorie, aumentò dopo che i partecipanti all'esperimento ebbero preso 20 milligrammi di melatonina ogni sera per una settimana.
Georges Maestroni e un suo collega scoprirono che nei linfociti T-Helper sono presenti dei recettori per la melatonina.
Quando l'ormone si fissa su questi recettori, viene stimolata la produzione di sostanze molto importanti per il sistema immunitario, come per esempio l'interleuchina 4, che va a stimolare i linficiti B.
Un'altra scoperta, particolarmente promettente, è stata fatta dallo studioso della ghiandola pineale Russel Reiter: la melatonina è un'arma importante anche contro uno dei peggiori nemici dell'uomo: i cosidetti radicali liberi.

29.12.09

Il segreto dell'eterna giovinezza

Già da molti secoli filosofi e scenziati si sono posti il problema del perchè dobbiamo invecchiare e morire.
Se consideriamo questo interrogativo alla luce dell'evoluzione, la risposta è facile.
Poichè tutti gli organismi viventi hanno la facoltà di riprodursi, la loro esistenza deve necessariamente aver fine, altrimenti la terra sarebbe ben presto sovrappopolata senza scampo.
Questo vale per gli uomini come per gli scimpanzè e i coccodrilli.
Inoltre il progresso dell'evoluzione è possibile solo mediante la morte degli individui:
morendo infatti facciamo posto alla prossima generazione, portatrice di un nuovo patrimonio genetico:
in tal modo può nascere qualcosa di nuovo.
Vita eterna significherebbe immobilità:
se i primi organismi viventi che hanno popolato la terra non fossero morti,
non avrebbe mai potuto nascere l'uomo.
Per quanto possa sembrare crudele, nel momento in cui ci siamo riprodotti, generando e crescendo i nostri figli, dal punto di vista dell'evoluzione il nostro compito
(assicurare la prosecuzione della specie) è esaurito, e non c'è più bisogno di noi.

Per questo molti ricercatori sono convinti che in tutti gli organismi viventi, nelle piante e negli animali come anche nell'uomo, la durata della vita sia in qualche modo programmata: in ogni essere vivente esiste un "orologio biologico", e quando esso giunge al termine l'individuo muore.
In ogni specie questo orologio è diversamente regolato:
le effimere vivono un giorno solo, la sequoia californiana migliaia di anni.
Ma prima o poi tutti gli esseri devono morire.

Perciò, quando una quarantina d'anni fa si scoprì che la durata della vita di certi animali
può venire prolungata con la sottonutrizione cronica, la cosa fece epoca.
Dei ricercatori diedero a dei ratti una quantità di cibo sufficienti solo a farli sopravvivere a malapena.
Stranamente, in queste condizioni gli animali non morirono prima: al contrario, raggiusero un'età più longeva dei loro simile ben nutriti.
E non solo: erano più sani, avevano un aspetto più giovanile e più vitale e a differenza degli altri
non si ammalavano delle classiche "patologie senili", come il cancro e la cataratta.

Nei ratti sottonutriti inoltre fu riscontrato un tasso molto più elevato di melatonina.

Naturalmente gli studiosi della melatonina ipotizzarono subito l'esistenza di un nesso fra la sottonutrizione, l'aumentata produzione di melatonina ed il prolungamento della vita.

Secondo Reiter, la melatonina combatte l'invecchiamento in quanto è il più efficace dei nostri "spazzini" di radicali liberi.
Dopo la scoperta dei radicali liberi, molti scenziati riconducono il processo di invecchiamento esclusivamente all'azione di queste molecole: più invecchiamo e più siamo sottoposti agli attacchi dei radicali liberi.e le nostre celule ne vengono sempre più compromesse.

Il dottor Walter Pierpaoli invece è molto ottimista.
Per lui non ci sono dubbi: il segreto della lunga vita è celato nell'ormone della pineale ( melatonina ).
Finora, dice Pierpaoli, la maggior parte degli studiosi ritenevano l'invecchiamento un processo complicato, a cui contribuiscono innumerevoli fattori diversi e contro il quale non si può fare molto.
Pierpaoli invece ritiene di aver scoperto, con i suoi esperimenti sui topi, che per l'invecchiamento e la morte esiste un'unica causa, un "orologio biologico" che governa tutto: la ghiandola pineale.
"Una ghiandola pineale giovane invia a tutto il corpo un messaggio di giovinezza, e lo mantiene forte e sano" scrive Pierpaoli.
"Ma quando la ghiandola pineale invecchia, il suo messaggio cambia:
essa comunica al corpo che siamo vecchi, e che è tempo di limitarci.
Come un direttore dirige la sua orchestra, la ghiandola pineale secondo Pierpaoli regola attraverso la secrezione di melatonina l'attività di tutte le altre ghiandole del nostro corpo, e cioè tutto il nostro assetto ormonale.
Quando il direttore non è più al culmine del suo rendimento e perde il controllo dell'orchestra, anche tutte le nostre funzioni organiche perdono i riferimenti e non funzionano più in sincronia.
Per questo, secondo Pierpaoli, è consigliabile prendere preparati a base di melatonina a partire da una certa età ( attorno ai 45 anni ), per compensare la ridotta produzione interna.
In tal modo, sostiene, possiamo ottenere che altri ormoni importanti vengano prodotti di nuovo nella stessa quantità e nello stesso equilibrio come quando eravamo più giovani.
Secondo Pierpaoli, noi possiamo in tal modo modificare il nostro orologio biologico e "prolungare di alcuni decenni la nostra vita".

19.12.09

la mia torta della salute

 Ingredienti per la torta della salute.

2 litri di latte totalmente scremato
250 grammi di proteine in polvere all'84%
6 uova intere
30 grammi di olio extra vergine d'oliva
un kg di farina integrale
500 grammi di crusca
100 grammi di noci
100 grammi di mandorle
250 grammi di uva sultanina
250 grammi di miele
2 bustine di lievito chimico per dolci
sale fino
bicarbonato



frullare due litri di latte totalmente scremato (0,1 per cento di grassi) con 250 gr di proteine in polvere all'84%. ( comunque superiori all'80% )

In un grande contenitore di plastica sbattere 6 uova intere                 ( logicamente fresche e per avere la certezza che siano fresche, apritele una ad una su un piattino; l'albume deve fare tutt'uno col tuorlo e non deve spandersi nel piatto).

Aggiungere un pizzico di sale, un pizzico di bicarbonato e 30 grammi d'olio extravergine d'oliva.

Allungare il tutto con un quarto del frullato già preparato, poi aggiungere i 250 grammi di miele.

Dopo aver amalgamato il tutto aggiungere i 100 grammi di noci, i 100 grammi di mandorle ed i 250 grammi di uva sultanina.

Amalgamare ancora una volta poi aggiungere, alternandoli, il frullato già preparato,
la farina integrale e la crusca.

Nel frattempo si è preparato il forno a 200 gradi.

Prima di infornare aggiungere 2 bustine di lievito chimico per dolci amalgamando ancora una volta per bene.

Per il primo quarto d'ora forno a 200 gradi, il secondo quarto d'ora 175 gradi e per la mezzora seguente a 150 gradi.

Lasciare raffreddare nel forno per qualche ora...

Penso di averti scritto tutto.
Prima di farla fatemi delle domande su eventuali dubbi.

Vengono fuori due torte da circa 5 kg ( in totale, calcolando il peso crudo ) con 552 grammi di proteine, 231 grammi di grassi, 1.319 grammi di carboidrati, 331 grammi di fibre e 9.559 calorie.

Se si fanno dei pasti ogni 3 ore, le porzioni dovrebbero essere 27.
Se si fanno dei pasti ogni 4 ore, le porzioni dovrebbero essere 22.

Si consiglia di preparare le porzioni già appena le torte sono raffreddate, altrimenti si rischia di fare delle porzioni o troppo grandi o troppo piccole.

Se dividiamo le due torte in un totale di 22 porzioni, avremo, per porzione, i seguenti valori:

proteine:             25    grammi
grassi:                10,5 grammi
carboidrati:         60    grammi
fibre:                  15   grammi
calorie:             434

Abbiamo già detto in altre occasioni che per vedere se un cibo è ingrassante o meno bisogna moltiplicare i grammi di proteine per 20.

Il risultato deve essere superiore alle calorie totali.

Nel nostro caso le proteine sono 25. Moltiplicate per 20 fa un totale di 500. Poichè ogni porzione ha 434 calorie, risulta che questo cibo non è considerato "ingrassante" per 64 calorie.

Abbiamo inoltre detto che i grammi di grassi devono essere inferiori alla metà delle proteine.

Nella nostra porzione i grammi di proteine sono 25, quindi i grammi di grassi devono essere inferiori a 12,5.

Essendo solamente 10,5 il nostro alimento risulta con quantità di grassi inferiore di 2,5 rispetto al limite consentito.

Riguardo alle fibre è notorio che 1 grammo di fibre annulla un grammo di carboidrati.
Poichè abbiamo 60 grammi di carboidrati e 15 di fibre è come se i carboidrati fossero solo 45.

Sapendo che i carboidrati non devono superare il doppio delle proteine, dopo questo ultimo conteggio abbiamo: (proteine x 2) = 50 e carboidrati 45.

Quindi, i carboidrati risultano rientrare nel limite per non ingrassare per 5 grammi in ogni porzione.

Il fabbisogno giornaliero di fibre, per mantenere l'apparato digerente in efficenza è stato stimato attorno ai 30 grammi. Poichè ogni porzione ne contiene 15 grammi, con due sole porzioni di questa torta, il problema è risolto.


Per chi ha l'intestino bloccato questa torta è un vero toccasana.

Riguardo al contenuto di sali minerali e vitamine, ogni porzione contiene:
calcio: 163 mg
ferro: 3 mg.
potassio: 596 mg
fosforo: 432 mg
zinco: 4 mg
vit B3: 6,5 mg
retinolo: 33 mg.
acido folico: 14 mg
beta carotene: 17 mg
vit E: 5 mg

14.12.09

Quando il cervello si guasta.

Nota di Aldebrando Lucci:
leggendo l’articolo molte cose potrebbero essere poco chiare o addirittura completamente astruse.
Capisco che la non perfetta conoscenza di alcuni simboli o termini può compromettere anche totalmente la comprensione di quello che Barry Sears scrive. Provo quindi ora a chiarire alcune sigle o termini.
Nel caso che qualcosa non risulti chiaro, domandatemelo scrivendo alla mia mail: aldyrisponde@hotmail.it
Prima di leggere le note qui sotto ( di colore blu ), cercate di leggere il testo ( in colore nero ).
Ad una prima lettura sono sicuro che riuscirete a capire quasi tutto. Nella seconda lettura, soffermatevi sui punti più interessanti per voi ed iniziate a leggere le note in blu. Alla fine prendete degli appunti solo per ricordarvi i passi più importanti. E sono sicuro che ce ne sono molti!!!
Per ogni altra delucidazione, scrivetemi!!!


DHA= acido docosaesaenoico, un omega 3, antinfiammatorio (sostiene le funzioni cerebrali )
EPA= acido eicosapentaenoico, un altro omega 3, antinfiammatorio, migliora il flusso sanguigno ( entrambi si trovano nell’olio di pesce concentrato e distillato)
BDNF=brain-derived neurotrophic factor ( fattore neurotropico derivato dal cervello, necessario a stimolare lo sviluppo delle fibre nervose del sistema centrale )
USDA=dipartimento dell’agricoltura degli Stati Uniti
AA/EPA=rapporto tra l’acido arachidonico (omega 6, infiammatorio) ed acido eicosapentaenoico ( omega 3, antinfiammatorio ). Più il rapporto è alto e più si va incontro a malattie, più è basso e più si va incontro al benessere.
OMEGA 3 A CATENA LUNGA sono derivati dall’olio di pesce ed hanno un’efficacia di circa 30 volte superiore agli omega 3 a catena corta, che si trovano soprattutto nell’olio di semi di lino. Quindi un grammo di omega 3 derivato dal pesce è equivalente a 30 grammi di omega 3 vegetali.
Gli EICOSANOIDI sono dei super ormoni che stimolano le nostre ghiandole a secernere altri ormoni.
(gli omega 3 sono eicosanoidi buoni, gli omega 6 eicosanoidi cattivi)
PLACCHE AMILOIDI=ammassi extracellulari che si formano nel cervello dei malati di morbo di Alzheimer
PROGRAMMA DIETETICO DI BARRY SEARS ( chiamato anche Dieta a Zona o dieta 40-30-30 è una dieta che prevede per ogni pasto, la proporzione calorica così suddivisa: il 40% delle calorie introdotte deve essere preso dai carboidrati, il 30% dai grassi ed il rimanente 30% dalle proteine ). Inoltre i pasti vanno effettuati ogni 3 ore circa e le calorie di ogni pasto non dovrebbero mai essere superiori a 400 ( equivalenti a 4 blocchi della dieta a zona ).


Quando il cervello si guasta.


La mente è diventata la frontiera della medicina di domani:
il nostro cervello racchiude ancora miriadi di misteri che attendono di trovare spiegazione.
Anche ai nostri giorni, i ricercatori si scoraggiano di fronte alla complessità dei problemi che incontrano quando cercano di individuare con precisione le aree cerebrali responsabili di gestire le funzioni della parola, dei sentimenti d’amore e di odio e dell’espressione della creatività.
Come già spiegato abbiamo la possibilità di migliorare le nostre funzioni cerebrali semplicemente fornendo al cervello ciò che desidera e tenendolo lontano da ciò che detesta.
Studi condotti in passato su campioni di popolazione hanno messo in luce che le popolazioni dei paesi in cui il consumo di pesce è molto elevato ( come in Giappone ) sono meno soggette a stati depressivi.
Abbinando questa statistica con i dati di consumo di olio di pesce nella dieta degli americani ( nell’ultimo secolo in continuo calo ), non è difficile immaginare come mai negli Stati Uniti stia andando alle stelle l’incidenza di affezioni neurologiche come la depressione, i disturbi dell’attenzione e il morbo di Alzheimer.
In America, l’apporto dietetico medio di DHA ( necessario per sostenere le funzioni cerebrali)
ed EPA ( richiesto per migliorare il flusso sanguigno e ridurre le infiammazioni)
ha toccato oggi livelli pericolosamente bassi, specie se paragonati con quelli di cento anni fa.
Con la recente comparsa sul mercato dell’olio di pesce concentrato ed distillato,
abbiamo ora la possibilità di incrementare i livelli di DHA ed EPA fino a calare il rischio di sviluppare disturbi mentali.
Ma, più importante ancora, disponiamo finalmente dello strumento per far regredire i sintomi di queste patologie, anche quando hanno già danneggiato il funzionamento del cervello.
Pertanto, per l’olio di pesce è giunto il momento della verità: disponiamo finalmente di un prodotto somministrabile in dosi sufficientemente elevate da poter combattere i disturbi più preoccupanti che colpiscono il genere umano, ovvero quelli che distruggono la mente.
Come gli anziani che si esercitano con i pesi possono riacquistare la forza che avevano in gioventù, così sono convinto che anziani e giovani, seguendo le mie indicazioni dietetiche, potranno riappropriarsi della loro piena funzionalità cerebrale.
La prima volta che ebbi l’opportunità di saggiare la veridicità di questa ipotesi si presentò alcuni anni fa, quando ricevetti una telefonata dalla Florida.


Il morbo di Alzheimer


Tre anni fa, mi telefonò Dan Ward, fondatore e proprietario del River Oaks Extended Care and Reabilitation Center di Crystal River, in Florida.
Dan è riconosciuto in tutti gli Stati Uniti come grande esperto nella prevenzione e nella cura di invalidità fisiche e mentali della terza età.
È, inoltre, un convinto sostenitore dell’efficacia, per i pazienti anziani, di un regolare esercizio fisico, essendo dimostrato che l’attività fisica incrementa il fattore neurotropico derivato dal cervello (BDNF), necessario a stimolare lo sviluppo delle fibre nervose del sistema centrale.
L’accento posto da Dan sull’esercizio fisico per gli anziani deriva anche dall’essere stato egli stesso un atleta di spicco, con alle spalle una storia di allenamenti regolari e attentamente pianificati.
Tre anni fa, alcuni dei suoi amici atleti lo invitarono a leggere il mio libro Come raggiungere la Zona
e Dan decise di verificare l’efficacia delle indicazioni che vi aveva trovato.
Attenendosi al suo programma standard di allenamento aerobico con i pesi, di norma la sua frequenza cardiaca saliva fino a 168 battiti al minuto.
Dopo una sola settimana del mio programma dietetico, integrato da olio di pesce a basso dosaggio (1,3 g di acidi grassi omega 3 di qualità commerciale, secondo le indicazioni da me fornite in Come raggiungere la Zona, quando l’olio di pesce concentrato e distillato non era ancora disponibile ), non gli fu più possibile superare i 120 battiti al minuto.
Ciò significava semplicemente che il suo cuore non doveva più lavorare altrettanto intensamente per pompare il sangue richiesto durante la fase di allenamento.
Da questo fenomeno, Dan capì che al suo organismo stava capitando qualcosa di eccezionalmente positivo.
Entusiasmato dal suo stesso successo, Dan decise di sperimentare il mio programma dietetico su quattro dei suoi pazienti anziani, tutti nello stadio finale di demenza del morbo di Alzheimer.
I quattro stavano seguendo la dieta dell’USDA, ma la loro demenza continuava a progredire.
Tutti i pazienti erano inoltre affetti dal morbo di Parkinson e i farmaci che stavano prendendo venivano già somministrati al massimo del dosaggio consigliato.
Ciò nonostante, tutti quanti esibivano rigidità agli arti superiori e inferiori, non riuscivano ad articolare frasi comprensibili, avevano bisogno di assistenza per mangiare e le loro capacità deambulatorie erano praticamente nulle.
In altre parole, la qualità della loro vita, già scadente, peggiorava ogni giorno di più.
Il morbo di Alzheimer è una malattia molto penosa che sottrae ai pazienti le loro facoltà mentali provocandone la morte.
Se vi è capitato di visitare una casa di cura per anziani, sapete cosa succede quando la mente comincia a deteriorarsi prima del corpo.
Dato che Dan con i suoi pazienti all’ultimo stadio dell’Alzheimer non.aveva più nulla da perdere, provò a modificare le loro dieta, passando al mio programma e utilizzando la dose di 2,5 g di acidi grassi omega 3 di qualità commerciale.
Nel giro di tre settimane, i suoi pazienti cominciarono a manifestare chiari segni di miglioramento.
Tutto sommato, il controllo della dieta di questi pazienti fu la parte più semplice dell’esperimento, in quanto Dan a ogni pasto si limitava a preparare dei frullati contenenti il corretto equilibrio tra proteine e carboidrati; qualche difficoltà il più la incontrò con l’integrazione di olio di pesce dato che, a quel tempo, il prodotto era disponibile esclusivamente sotto forma di capsule.
Lo staff di Dan era costretto ad aprire ogni giorno 64 capsule ( 16 per ogni paziente ) per estrarre il liquido da addizionare ai frullati che dovevano bere i pazienti, troppo debilitati per inghiottire capsule intere.
Nel tentativo di trovare un metodo più pratico, Dan mi telefonò per domandarmi se avevo qualche suggerimento utile per superare il problema.
Eravamo nel 1999 e proprio in quel periodo stavo avviando esperimenti con l’olio di pesce di tipo concentrato e distillato, che offriva il vantaggio di un sapore e di un odore meno sgradevoli e soprattutto conteneva un livello di inquinanti di gran lunga inferiore.
Con quell’inattesa telefonata di Dan prese avvio uno dei miei più fecondi rapporti di collaborazione di sempre, mirato a identificare il ruolo potenziale dell’olio di pesce nell’opera di ricostruzione del cervello umano.
E quei quattro pazienti?
Come primo provvedimento, Dan aumentò la dose giornaliera a circa 9 g di acidi grassi omega 3 a catena lunga ( un cucchiaio di olio di pesce concentrato e distillato ).
Nel volgere di due settimane, fu già in grado di misurare progressi stupefacenti: i pazienti presero spontaneamente a parlare e cominciarono pian piano a riappropriarsi delle loro perdute personalità.
Una di loro cominciò addirittura a formare frasi complete e logicamente articolate e diede segno di riconoscere il marito e ricordare il passato.
Se incrementando la dose di olio concentrato e distillato a 9 g al giorno si erano ottenuti i miglioramenti tanto significativi in pazienti gravemente debilitati dal morbo di Alzheimer, di quale portata sarebbero potuti risultare i benefici di dosi ancora più massicce?
Fu proprio ciò che Dan si propose di scoprire: cominciò, pertanto, ad aumentare il dosaggio portandolo a 3 cucchiai al giorno, fornendo così ogni giorno 35 g di acidi grassi omega 3 a catena lunga.
Questo quantitativo è diventato la sua dose standard e oggi egli controlla regolarmente i progressi dei suoi pazienti misurando il rapporto AA/EPA nel sangue.
Anche con dosi di olio di pesce così elevate, i valori del sangue restano normalmente tra 1,5 e 2, ovvero all’interno della fascia ottimale, quella che denota la presenza di un corretto equilibrio tra eicosanoidi buoni e cattivi.
Alla luce dei risultati di questi primi esperimenti, Dan decise di suddividere i suoi pazienti in tre gruppi:
al primo venne somministrato soltanto olio di pesce ad alto dosaggio ( circa 25 g al giorno di acidi grassi omega 3 a catena lunga);
al secondo vennero serviti pasti equilibrati dal punto di vista ormonale ( per controllare l’insulina ),ma non integrati dall’olio di pesce;
l’ultimo gruppo, infine, ricevette entrambe le prescrizioni del mio programma. L’esperimento serviva a determinare il ruolo svolto dal controllo dell’insulina nei miglioramenti osservati.
Come forse c’era da aspettarsi, la combinazione di pasti finalizzati al controllo dell’insulina e olio di pesce ad alto dosaggio si rivelò enormemente più efficace dei singoli componenti isolati.
Questa ricerca confermò chiaramente la mia ipotesi iniziale: per ottenere la massima regressione delle patologie neurologiche è necessario controllare simultaneamente sia gli eicosanoidi sia l’insulina, obiettivo realizzabile attraverso l’adozione del mio programma dietetico.


Uno dei pazienti di Dan, un ottantacinquenne soprannominato “il colonnello” era affetto da una forma di morbo di Alzheimer così grave da impedirgli di riconoscere la moglie.
Racconta la moglie: “Entrava e usciva da tutti gli ospedali ed i centri di riabilitazione dell’area di Houston, dove allora abitavamo. Nessuno ci aveva dato alcuna speranza e mio marito stava malissimo, restava sempre raccolto in posizione fetale, non camminava né era in grado di nutrirsi da solo. Pensavo che stesse giungendo la fine ed ero disperata”.
Capitò che casualmente una nipote del colonnello lavorasse come infermiera nel centro di riabilitazione di Dan.
La donna telefonò alla moglie dello zio, la quale stava ormai abbandonando ogni speranza, e le consigliò di portare il marito in Florida, al River Oaks.
Dopo cinque mesi di trattamento con il mio programma dietetico, il colonnello riusciva a camminare da solo e a giocare a carte con la moglie. Aveva persino riacquistato il senso dell’umorismo e qualche volta tornava a casa per il week end.
I parenti che non l’avevano più incontrato dopo l’inizio del trattamento con il mio programma rimanevano strabiliati dal suo miglioramento; adesso lo sono ancora di più, dato che è nuovamente in grado di vivere a casa propria.


Un altro paziente di Dan, che soffriva di una forma avanzata di morbo di Alzheimer, era stato dimesso da ben 5 strutture sanitarie perché il personale non riusciva a gestire il suo comportamento sociale fortemente disturbato. Si era persino fratturato entrambe le ginocchia, le anche e le spalle, e negli altri centri di riabilitazione i medici avevano diagnosticato che non avrebbe mai più ripreso a camminare. Quando entrò nella struttura di Dan, non era in grado di muovere le braccia per mangiare. Altrettanto sconcertante era il comportamento tenuto nei confronti dei figli: quando si recavano in visita, spesso cadeva addormentato. Una volta avviato il mio programma, nel giro di sei settimane aveva riacquistato la capacità di nutrirsi da solo e cominciava a camminare senza bisogno di assistenza. Dice un figlio: Mio padre adesso ci accoglie con un sorriso, parla con noi per ore e cammina di nuovo senza un sostegno. Vederlo di nuovo in scarpe da ginnastica , con un colorito roseo al posto di quel grigio cenere che ha avuto per anni…per noi è impressionante. E da quando è qui non è più caduto. In meno di sei settimane abbiamo visto nostro padre passare dalla condizione di chi non avrebbe più camminato a quella di chi torna a gustare la libertà di lasciare la sedia a rotelle. Grazie a Dio abbiamo incontrato il dottor Ward e la sua clinica!


Il morbo di Alzheimer è strettamente associato alla formazione di placche amiloidi nel cervello, simili per molti aspetti a quelle che si formano sulle pareti delle arterie e che alla lunga possono provocare l’infarto.
Le persone con predisposizione genetica agli infarti, infatti, sono anche soggette a un rischio molto più elevato di sviluppare il morbo di Alzheimer. Ecco perché ha senso una strategia volta a prevenire entrambe le malattie. Lo stesso Ippocrate lo ha sostenuto già 2500 anni fa quando affermò:” Tutto ciò che fa bene al cuore probabilmente gioverà anche alla mente”.
Poiché ridurre l’infiammazione fa bene al cuore ( ricordate che l’aspirina è tuttora il miglior farmaco per prevenire l’infarto ), dovrebbe essere salutare anche per il cervello ( in particolare per la cura del morbo di Alzheimer ). Forse allora non c’è da stupirsi che le persone che fanno uso da lungo tempo di farmaci antinfiammatori presentino un’incidenza del morbo di Alzheimer molto inferiore alla media della popolazione.
Esiste una strategia appropriata per ridurre la probabilità di essere colpiti dal morbo di Alzheimer? Ci sono dati statistici che mostrano come le persone di oltre 85 anni che mangiano pesce hanno il 40% di rischio in meno di sviluppare il morbo di Alzheimer rispetto a chi non se ne ciba. Un’altra ricerca ha dimostrato che il cervello di pazienti affetti dal morbo di Alzheimer contiene il 30% in meno di DHA di quello dei soggetti sani. Secondo i dati della Framingham Heart Study, un pietra miliare della ricerca medica, i pazienti con livelli sanguigni di acidi grassi omega 3 a catena lunga più bassi, avevano il 67% di probabilità in più di sviluppare il morbo di Alzheimer. Infine, secondo un altro studio, le funzioni cognitive di pazienti con il morbo di Alzheimer sembrano migliorare integrando la dieta con DHA.
Preoccupa scoprire che chi consuma molti acidi grassi omega 6 ha il 250% di probabilità in più di contrarre il morbo di Alzheimer. Come ricorderete, è proprio l’eccessivo consumo di acidi grassi omega 6 ( del tipo di quelli presenti nei comuni oli vegetali ) a favorire un aumento della formazione di acido arachidonico. Pertanto siamo autorizzati a ipotizzare che produrre troppi eicosanoidi cattivi e troppo pochi buoni aumenti il rischio di essere colpiti dal morbo di Alzheimer.
La tesi ha trovato conferma nei risultati di recenti studi che hanno confrontato il rapporto AA/EPA di pazienti affetti dal morbo di Alzheimer con quello di un gruppo di controllo costituito da soggetti sani della medesima fascia di età. Non sorprende che il rapporto AA/EPA nei pazienti malati sia risultato circa il doppio rispetto a quello del gruppo di controllo,
infatti i pazienti affetti dal morbo di Alzheimer aveva un rapporto AA/EPA 12, mentre il gruppo di controllo solamente 6!
Questo dato suggerisce che i pazienti con il morbo di Alzheimer soffrano di una marcata infiammazione cerebrale e, infatti, questa malattia è oggi ritenuta dai più una patologia di natura infiammatoria. Pertanto, il consumo di olio di pesce ad alto dosaggio combinato con il controllo dell’insulina, attenuando l’infiammazione, risulta lo strumento più efficace anche per prevenire lo sviluppo di questa malattia. Sulla base dell’esperienza accumulata da Dan Ward con l’adozione del mio programma dietetico nella sua casa di cura, mi pare del tutto evidente che lo sviluppo del morbo di Alzheimer può essere arrestato e a volte anche invertito mediante un corretto intervento dietetico. Se vi trovate nello stadio iniziale della malattia, se ci sono stati casi di malattia in famiglia o, più semplicemente, temete di poterla contrarre, il mio programma dietetico potrà essere per voi la migliore medicina disponibile, se non la vostra unica speranza.


Altre forme di demenza


La demenza è provocata dalla morte dei neuroni ( le cellule nervose del cervello ) con la conseguente perdita delle funzioni cerebrali.
Il morbo di Alzheimer ne è la causa principale, ma non l’unica.
Un’altra importante forma di demenza deriva dal succedersi continuo di tanti piccoli ictus ( clinicamente noti come “attacchi ischemici transitori” o TIA ), che avvengono quando il flusso sanguigno verso il cervello diventa insufficiente, privando l’organo dell’ossigeno e del glucosio necessario al suo sostentamento.
Questi ictus di breve durata non sono invalidanti come quelli completi, ma alla lunga il loro effetto cumulativo è il medesimo: la perdita delle funzioni cerebrali.
I TIA sono provocati da un’ostruzione delle arterie cerebrali: possono essere considerati infarti cerebrali, di natura simile a quelli cardiaci.
La maniera migliore per arrestarli è prevenire l’aggregazione delle piastrine, causata da un’eccessiva produzione di eicosanoidi cattivi.
È noto che esistono medicine, come l’aspirina, che possono ridurre l’aggregazione delle piastrine, ma il miglior farmaco” a lungo termine resta il mio programma dietetico, grazie alla sua capacità di modificare i livelli tanto degli eicosanoidi buoni quanto di quelli cattivi.
Non c’è da stupirsi che, quando si esaminano i parametri ematici, i pazienti con demenze non legate al morbo di Alzheimer e quelli affetti da disturbi cognitivi presentino rapporti AA/EPA più alti di quello del gruppo di controllo.
In genere per la demenza ed i disturbi cognitivi il rapporto AA/EPA è attorno a 11, mentre nel gruppo di controllo è attorno a 6.
Per chiarire meglio questo punto, vi riferisco quanto Dan Ward mi raccontò di un altro dei suoi pazienti affetti da disturbi cognitivi.
Quando lo sottopose al mio programma dietetico, notò quasi immediatamente un netto miglioramento delle sue funzioni cognitive. Quel particolare paziente, però, soffriva anche di una serie di altri problemi frequentemente presenti nelle persone anziane: quando entrò del centro di Dan, era immobilizzato ella sedia a rotelle e, in più, presentava una piaga da decubito di oltre 10 centimetri con principio di cancrena, oltre a una diarrea cronica. Nella casa di cura in cui era stato ricoverato in precedenza, i medici avevano deciso di effettuare due interventi chirurgici: uno per risolvere il problema della diarrea e l’altro per suturare la piaga da decubito. Benché le due operazioni fossero già state programmate, Dan chiese di rimandarle, per poter tentare prima qualche intervento nutrizionale. Potete immaginarvi lo scetticismo dei medici del paziente.
Dan sottopose immediatamente il suo nuovo paziente al mio regime alimentare, impiegando 35 g al giorno di acidi grassi omega 3 a catena lunga ( 4 cucchiai ). Dopo tre giorni, la diarrea era scomparsa, e per sempre.
Entro il decimo giorno, l’uomo era in grado di camminare liberamente e la sua piaga da decubito dava segni di guarigione. In otto settimane era completamente rimarginata. Sua figlia, stupefatta e positivamente colpita dall’entità del miglioramento mostrato dal padre, disse a Dan: “E’ più attivo fisicamente e mentalmente più coerente di un anno fa, quando viveva ancora nella sua casa. È un vero miracolo!” ma l’evento davvero miracoloso accadde quando il padre passò un week end a Sea Word: i suoi amici si erano affaticati ed egli, forte della sua ritrovata energia, si incaricò di spingerli nelle loro sedie a rotelle.
Appena qualche mese fa, Dan prese in cura un altro paziente cui anni prima era stato diagnosticato un tumore al cervello. Malgrado il tumore fosse stato rimosso, l’uomo soffriva ancora di frequenti attacchi epilettici, tanto che prima di approdare al River Oaks era stato ricoverato in altre 5 cliniche.
A quel punto, Dan aveva accumulato una notevole esperienza su come applicare il mio programma dietetico a pazienti invalidi.
Così, avviò il programma somministrando al paziente la dose standard di 25 g al giorno di acidi grassi omega 3 a catena lunga.
Nel giro di poche settimane, l’uomo aveva riacquistato la capacità di muoversi utilizzando un girello, benché necessitasse ancora di una certa assistenza, dato che non riusciva a controllare correttamente l’uso della mano sinistra. Dopo un mese di trattamento, gli attacchi epilettici erano scomparsi e aveva recuperato anche la funzionalità della mano sinistra. Infine, dopo due mesi al River Oaks, per la prima volta dopo anni tornò a casa, avendo riacquistato la memoria.